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Immagine del redattoreGiulia Ferrari

Ciao sono Giulia e sono cuscino

Volevo fare un po’ come quando ti presenti ad uno sconosciuto, ma usando le cose comuni.

Le presentazioni sono sempre banali e non mi ci sono mai ritrovata, neanche quando ero io a parlare di me. Dire: “Ciao, mi chiamo Giulia, ho 26 anni, sono questa, quella…” che palle!

Non è riduttivo? È molto più facile capirci utilizzando le cose che conosciamo, le cose di tutti i giorni.

Mi spiego meglio: se dicessi che sono “cuscino”, sarebbe facile pensare alla morbidezza, all’adattamento della testa su di esso, al conforto che ti da. No?

Ecco, iniziamo così: Ciao sono Giulia e sono cuscino.

Solitamente di quelli dove ti ci perdi via, dove fai sia bei sogni che incubi, in entrambi i casi di quelli però che ricordi al mattino. Sono cuscino anche quando sto rannicchiata per farti stare più comodo, quando mi sistemo per farti mettere sotto il braccio, quando volo per farti giocare e quando non me ne vado anche se mi sbatti a terra.

Ciao sono Giulia e sono altalena. Su e giù su, up e down, aria e terra. Non tocco mai il suolo e son sempre in movimento. Mi piace di più quando sto a mezz’aria, ma attendo con ansia il decollo che mi fa passare dal punto più basso. È lì che aspetto che qualcuno mi tiri indietro e mi rilanci in aria. Indecisa e contraddittoria, ma sempre attaccata a quel palo che nonostante tutto mi tiene ben ancorata a terra. Mi giro a destra e a sinistra, ma alla fine son sempre lì: sai dove trovarmi.

Giulia come un treno, Giulia come stazione. Giulia che ti porta lontano, Giulia che ti resta vicino.

Un treno di seconda classe che sai che può uscire dai binari tanto quanto la prima. Un treno che fa caldo e che fa freddo e non trova mai la temperatura giusta. Lo senti arrivare, fa tremare la terra e prima che tu te ne accorga se n’è già andato altrove.

Ma quando mi fermo divento stazione. Il rifugio per chi perde la corsa, per chi vuole un biglietto di sola andata o per chi deve salutare qualcuno per sempre. Ho sedie scomode e rotte, ma un tetto sopra la testa.

“Prego, passi pure di qui, io sono un ponte.” Un ponte di quelli di montagna fatto di assi di legno rovinate dal tempo. Un ponte traballante, affascinante e imprevedibile. Un ponte da calpestare per provare l’emozione di quel passo vuoto appena sotto. Passaggio per chi ha bisogno di un aiuto per arrivare dall’altra parte, per scoprire il lato opposto del fiume, per avvicinarcisi in modo più consapevole.

Ciao sono Giulia e sono armadio. Pieno di cassetti divisi per sezione. Gli abiti belli stanno in alto appesi alle grucce, i calzini sparsi ovunque. Certi non hanno mai trovato riparo e io me li ritrovo sempre in mezzo alle cose che amo, spaiati. In basso stanno le scarpe che tengo malamente aggrovigliate una sull’altra perché preferisco stare scalza. Invece il cassetto delle “magliette brutte” è quello dove stanno i ricordi più belli. Ancora non capisco perché diamo questo nome alle magliette alle quali chiaramente teniamo di più. Ho talmente tanti cassetti che alla fine non butto mai niente: ho vecchi pantaloni che ancora non so scartare. Penso che, ormai, rimarranno lì per sempre.

Sono anche boa, ma a volte mi stufa esserlo. I bagnanti mi vedono, si aggrappano e cercano di tirarmi giù. Io non mollo, resto a galla, ma onestamente è stancante e demotivante sapere di essere l’ancoraggio di tutti. Dei giorni - soprattutto quando piove - mi sembra di affogare.

Preferisco l’essere vela delle mie mille me. Bianca, leggera, ondeggiante sul mare senza toccarlo, sinuosa nel vento senza vederlo. Vela che si lascia trasportare e sfiora gli scogli senza incagliarsi.

Bella da vedere, ma solo in lontananza perché usata solo da chi la sa manovrare bene.

Spago. Spettinato, ma resistente: utile. Adatto a tutte le esigenze e spesso annodato. Spago, perché l’essere scotch mi si addice meno. Lucido, scivoloso, ti illude di restare attaccato, ma prima o poi sai che si stacca. Anche la colla non è da me: appiccica le mani e finisce subito, non vale niente.

Sono confini oltrepassati, barriere scavalcate, muri abbattuti. Il gatto nero che attraversa la strada. Solo per la voglia di scoprire cosa c’è oltre.

Sono ahimè anche conchiglia persa tra le onde, bastone tra le ruote, a volte impronte nel cemento fresco. Piatto vuoto da saziare, sabbia fra le dita dei piedi, l’ultimo mattone da depositare quando sei stanco. Pesante come una masso, testarda come un martello e spesso fredda come la roccia.

Vorrei essere meno palloncino che scoppia solo per attirare l’attenzione, meno biro che scrive solo per sé, meno aquila che non sa volare basso. E invece sono quella stella che non cade mai.

Ciao sono Giulia e sono sipario. Apro e chiudo lo spettacolo della mia vita cercando di trasmettere tutto quello che posso al pubblico che ho di fronte. Inaspettatamente mi accadono cose da raccontare che vi mostro come opere drammatiche, commedie o musical. Le prime hanno sempre molto successo. Uno spettacolo in continua evoluzione dietro ad un sipario che non cambia mai. Che poi, alla fine, solo io so cosa succede dietro a quelle tende e probabilmente arriverà il giorno che vi porterò anche nel backstage.


Ciao sono Giulia, sono sipario e ora è finito lo spettacolo.

Applausi.

Questa volta, Giulia

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