Non sono mai stata felice. Dico felice per davvero. Non ho mai saputo nemmeno cosa si provava ad esserlo. Sì, forse ho vissuto attimi di gioia, ma penso che siano sempre stati attimi illusori. E lo dico perché solo ora so cosa si prova per davvero.
Prima ero Giulia, avevo 16 anni. Una ragazza che si notava, non in senso estetico, nel senso che si sentiva quando arrivavo. Questo me lo ricordano le foto e i video dei “ricordi” di Facebook. Che voglio dire, Facebook sarà pure la rovina dell’umanità, però quando non ti riconosci più a 25 anni ti aiuta a capire chi eri. Ero una ragazza sicura di sé e forse anche un po' troppo in alcuni casi. Rumorosa, sorridente, sfacciata, sincera e divertente. La gente o mi amava o mi odiava. Ero circondata da “grandi” e grandi sta per persone con molti anni più di me. Sono la nipote più piccola e quando stavo con la mia famiglia si parlava sempre di “cose da grandi” e mi piaceva. Non vedevo l’ora di passare il sabato da mia zia perchè le mie cugine sicuramente mi avrebbero raccontato degli esami, dell’università, di viaggi. Tutto questo fin da piccola.
In ogni gruppo ero la leader, quella che se non parlava nessuno tirava sempre fuori l’argomento giusto. Le amiche aspettavano il momento della mia battuta fuori luogo o della mossa da stupida intorno ad un palo. Ballavo, cantavo, ridevo sempre. Ho fatto diverse parti a teatro, ero innamorata del palco e lo ammetto che sentirmi parte di quel mondo mi ha sempre fatto sognare in grande. La domenica (e non solo) andavo a messa, frequentavo l’oratorio con la voglia di farlo. E dico “con la voglia di farlo” perchè era una cosa che mi piaceva proprio tanto, incontravo persone simili a me e questo mi faceva proprio stare bene.
Insomma questo era tutto quello che si vedeva da fuori. Tutti lo vedevano. Ma dentro?
Dentro mi mancava qualcosa, ma io non capivo cosa. Non trovavo mai un pezzo, in ogni situazione. E mi adattavo. Pur di far andare bene le cose e di far star bene l'altro, sentivo che in me nasceva questo senso di adattamento che veniva fuori in ogni occasione.
Lui l'aveva capito. “Effetto pappagallo” mi avrebbe detto anni dopo, come se fosse stata una colpa la mia. Io invece lo facevo in buona fede per essere accettata dal gruppo. A 16 anni io avrei visto mostre, parlato di letteratura e viaggiato per città d’arte, invece sentivo di dovermi adattare per non essere diversa. Egoisticamente ammetto che mi sentivo “di più”: più intelligente, più interessata, più carismatica, più curiosa, più tutto. Avevo sete di altro, in certi momenti ero proprio totalmente disidratata. Non era un sentimento di grandiosità il mio, infatti l’obiettivo non era quello di attirare l’attenzione in senso narcisistico e ne sono sicura perché soffrivo molto per questo. Non trovavo nessuno con cui condividere quello che ero veramente, nessuno "uguale a me". Forse fingevo di stare ed essere veramente lì, mai con chi stava con me, ma sempre a me stessa. Mi sentivo vuota. Io non ero nessuno per sentirmi "di più", eppure tornavo a casa la sera e mi mettevo a piangere. Succedeva veramente troppo spesso. Mi sentivo in colpa per sentirmi diversa e spesso migliore. Mi sentivo in colpa perché mi costringevo ad adattarmi e ad accontentarmi, senza in realtà capire mai il perchè. Mi sentivo in colpa sempre. Ricordo ancora le mie parole tra le lacrime quando ne parlavo alla mamma: “Vorrei essere più stupida, più ignorante, meno interessata. Sarebbe molto più facile vivere.” È successo tante volte, davvero tantissime. Questo fino a quando non ho conosciuto lui.
Ho pensato fosse quell'anima più intelligente, più interessata, più carismatica, più curiosa che cercavo da tempo. Quell'anima a parte che non avevo mai trovato. E ci sono cascata: sono proprio caduta col culo per terra.
Ora facciamo un bel salto temporale di almeno quattro anni e un po', non ho voglia di parlarne. Quella è un'altra storia, o meglio, quella è la storia che mi ha portato ad essere quella che sono ora. E ora si vuole parlare del momento presente e di come sto.
Sto che ho capito veramente cos'è la felicità e probabilmente, mi sono resa conto che se non mi fossi frantumata a terra, mai ci sarei arrivata. Nemmeno a novant'anni. Leggere quel capitolo della mia vita mi ha permesso di sfogliare altre pagine per arrivare a quelle più belle e ricche.
Gli attimi di felicità esistono e possono essere creati, ma sono esterni e soprattutto sono una conseguenza. Una bella chiacchierata, una festa divertente, una bella corsa con un amico sono al di fuori: momenti e attimi felici, al di fuori. E possono non essere illusori solo se sono una conseguenza della felicità che si ha già all'interno.
Io questo ho capito: che la felicità è dentro, la gioia pura può nascere e vivere solo interiormente. La vera scoperta non può che essere personale e ognuno può ricercare e trovare la propria. Come una strada da percorrere verso il sole, fatta di sassi che ti fanno gli sgambetti, di compagni di viaggio buoni o cattivi e di soste su panchine rotte. Una strada da percorrere che puoi scegliere dopo averla conosciuta per davvero, sapendo cosa puoi trovare per terra, di fianco o addosso.
Noi abbiamo tutte le risposte e bisogna solo impegnarsi a ricercarle.
Quando mi dicevano: "Giulia, prima devi imparare ad amare te stessa!" io mi chiedevo: "..e come si fa? Ma poi, Cosa vuol dire?"
Cosa vuol dire ora io lo so, e forse anche più di quelli che mi davano quel consiglio.
Io l'ho capito quando ero per terra e avevo tanti buchi nel corpo, mi son guardata il cuore e ho visto che c'era ancora. Spaccarmi a pezzi mi ha permesso di osservare dentro di me, di vedere cosa avevo all'interno, di scoprire chi ero veramente.
E ora sono qui che so di aver fatto un bel percorso, di doverne percorrere ancora e di non vedere l'ora di farlo perché semplicemente so di aver trovato quell'anima che tanto cercavo.
Ed arrivata a leggere questo capitolo della mia vita, posso dire finalmente che la compagna di viaggio che mi è sempre mancata ero semplicemente io.
Giorni fa durante un ritorno in macchina mi sono ri-trovata per l'ennesima volta (è sempre più bello). Ascoltavo musica, non pensavo a nulla e di punto in bianco mi sono commossa. Ho semplicemente sentito il mio cuore felice e in pace, avevo gli angoli della bocca all'insù.
E piangere con il sorriso è uno tra i momenti più importanti da segnare sul diario della propria crescita personale. Un momento da segnare con un cuoricino rosso disegnato: quel cuore che è ripartito talmente tante volte che ora non ha più voglia di fermarsi ed è consapevole del perchè.
Non sono mai stata felice e ora sono felice di averlo capito così.
A volte muna,
questa volta Giulia.
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